Gli ultimi sondaggi effettuati a Rapa Nui mostrano che i Moai sono marcatori di misteriose strutture edificate anticamente sopra sorgenti artificiali di acqua rituale…


a cura della redazione, 4 marzo

Gli scienziati hanno finalmente risolto il mistero di come gli abitanti di Rapa Nui potessero dissetarsi bevendo direttamente dal mare. Lo riportavano i resoconti degli europei che nel XIX secolo arrivarono per la prima volta sull’Isola di Pasqua. Qui non ci sono sorgenti visibili, né fiumi o torrenti, ma solo tre piccoli laghi craterici, che possono prosciugarsi durante i periodi di siccità. Ciò significa che anticamente l'acqua dolce, su questo piccolo punto di terra nel Pacifico, era scarsa. I sondaggi effettuati sul terreno hanno dimostrato, però, che gli insediamenti del popolo che costruì i Moai, e le piattaforme su cui erano collocate le gigantesche statue monolitiche, si trovano quasi tutti sulla costa, vicino a fonti nascoste, che a quanto pare richiesero la costruzione di "dighe" sottomarine, presumibilmente molto più antiche dei primi coloni. Chi e come le abbia costruite non è ancora chiaro. In un nuovo studio, pubblicato a metà del 2021, rimasto poco noto, tali fonti artificiali di acqua dolce sono descritte come il fulcro della vita e della cultura delle comunità di Rapa Nui, non solo per sopravvivere a lunghi periodi di siccità. Erano luoghi sacri ancestrali.

LO SAPEVI CHE - Nella zona dell'Hanga Ho'onu troviamo due impressionanti ahu, Ahu Heki'i e Ahu Te Pito Kura, entrambi circondati da estesi insediamenti umani e da evidenti luoghi rituali. Ahu Te Pito Kura è il luogo del più grande moai. Il suo pukao (cappello rosso) è il più grande di tutte le sculture presenti sull'isola. Il moai ha un’altezza di quasi 10 metri e probabilmente pesa circa 80 tonnellate. Il pukao ha dimensioni altrettanto impressionanti, 2 metri di altezza e un possibile peso di 11,5 tonnellate. Quello di Hekii misura invece circa 5 metri di altezza. La modellazione cronologica bayesiana indica che Ahu Heki’i fu eretto 70 anni dopo l'insediamento umano iniziale di Rapa Nui e le analisi del modello di insediamento mostrano un'occupazione continua della regione di Hanga Ho'onu durante tutto il pre-contatto e all'inizio del periodo storico, suggerendo fortemente una lunga associazione temporale tra attività domestica e rituale adiacente a una sorgente di acqua dolce.

Questa stranezza della natura era stata aggiunta all’elenco dei misteri locali. Perché scrivere che "bevevano dal mare"? In un primo momento gli studiosi hanno pensato che si riferissero al ciclo dell'acqua e all'acqua piovana raccolta dai taheta, piccoli bacini di pietra scolpita sparsi in tutta l'isola.  Non riuscivano a spiegarsi, però, perché mano a mano che si sale, lontano dalla costa, se ne trovano sempre meno? Senza considerare che questi presunti bacini di raccolta dell'acqua dal cielo erano inaffidabili come fonti permanenti, date la variabilità delle precipitazioni e gli alti tassi di evapotraspirazione. Durante le loro indagini, i ricercatori hanno scoperto che l’approvvigionamento di acqua potabile proveniva da “infiltrazioni costiere” d’acqua dolce, in perfetta corrispondenza con i siti cultuali dell'isola cilena, che si trova nel punto più sudorientale del Triangolo Polinesiano in Oceania.

IL SIMBOLISMO DELL'ACQUA

 La nozione di acque primordiali, di oceano delle origini è pressoché universale. Si trova persino in Polinesia e la maggior parte dei popoli australoasiatici localizza nell’acqua il potere cosmico. Si rileva con frequenza nel mito dell’animale che si tuffa, come il jabali indu che riporta un po’ di terra in superficie. Origine e veicolo di tutta la vita l'acqua è saggezza e in certe allegorie tantriche rappresenta il Prana o soffio vitale. Sul piano fisico, perché anche dono del Cielo, è un simbolo universale di fertilità. Come elemento liquido, instabile, ricettivo e dissolvente, circola, bagna e feconda. I suoi significati simbolici sono molteplici, ma possono ridursi a tre temi principali: fonte di vita, mezzo di purificazione e centro di rigenerazione. Le acque, come massa indifferenziata, rappresentano l’infinita varietà del possibile, contenente tutto ciò che è virtuale, informale, il nucleo germinale delle cose, ogni premessa dello sviluppo. Immergersi per riemergere senza dissolversi in esse, salvi da una morte simbolica, significa tornare alla fonte originaria ricorrere all’immenso deposito di potenziale da cui estrarre nuove forze. In quest'ottica le sorgenti di Rapa Nui rappresentano le fonti della Linfa Primordiale che riemerge dal cuore della Terra attraverso le sue vene con le quali ridistribuisce l'”acqua di vita”, la linfa divina, dolce all’inizio, intorbidata da tutte le scorie e da tutti i detriti, fino a divenire amara e salata quando forma la massa oceanica che circonda l'isola.

Incredibilmente, le prove archeologiche hanno dimostrano l'uso di tecniche di gestione per intrappolare le acque dolci sotterranee prima che si mescolino con l'acqua di mare. Questo è meglio documentato attraverso la costruzione di "pozzi" noti come puna, scavati, a tratti lastricati e talvolta murati.

LO SAPEVI CHE - Rapa Nui e le sorgenti d'acqua dolce citate nei resoconti storici (DEM proveniente da https://earthexplorer.usgs.gov) - Nel suo primo lavoro etnografico, “La Tierra de Hotu Matu’a: Historia, Etnologia, y Lengua de Isla de Pascua”, Sebastian Englert rilevava l’esistenza di una grande ritenzione idrica caratteristica, ora distrutta, all’interno di Hanga Te’e che serviva a bloccare la miscelazione dell’acqua dolce con acqua salata. 

Con l’aiuto dei droni, gli studiosi hanno acquisito una comprensione più profonda di come la gente di Rapa Nui si garantisse tale approvvigionamento idrico. Gli antropologi hanno scoperto che la raccolta dell'acqua dolce avveniva prevalentemente dalle sacche di infiltrazioni costiere, e che erano state costruite vere e proprie "dighe sottomarine" nell’oceano per mantenere l’acqua dolce separata da quella marina, oltre a pozzi che la reindirizzavano dalla falda acquifera prima di raggiungere il mare. 

Per identificare le infiltrazioni costiere, gli studiosi hanno utilizzato la tecnologia dei droni con termocamere, una pratica utilizzata in studi simili in luoghi come le Hawaii. La ricerca con il telerilevameto, è stata guidata da Robert Di Napoli, del Dipartimento di Scienze Geologiche della Binghamton University di New York, in collaborazione con il Programma di Studi Ambientali del Dipartimento di Antropologia dell’Harpur College, e la Scuola di Antropologia dell’Università dell’Arizona. Secondo Di Napoli, l’acqua piovana dell’Isola di Pasqua affonda direttamente attraverso il substrato roccioso in una falda acquifera sotterranea, un corpo di roccia porosa o sedimento in cui si concentra l’acqua. Questa poi emerge lungo la costa sotto forma di “infiltrazioni costiere”, sacche di acqua dolce che gocciolano nell’oceano. 

Gli abitanti di Rapa Nui usavano anche fonti d'acqua interne come i laghi e i crateri. A Ava RangaUka e a Toroke Hau costruirono un bacino rivestito di pietra grande migliaia di metri quadri, probabilmente utilizzato per intrappolare il deflusso superficiale e il trabocco da Rano Aroi. Un'impresa tecnologica imponete, ma a destare la curiosità degli scienziati sono state alcune delle località prossime alla battigia, dove è stata rilevata una quantità inspiegabile di acqua "dolce" e fresca che esce dalle infiltrazioni. Come è possibile? Sorgenti nascoste che, come abbiamo detto all'inizio, sono state identificate in tutta l’isola, nonostante le condizioni asciutte dei laghi vulcanici. 

LO SAPEVI CHE - Lo stesso schema di associazione tra rituali, caratteristiche domestiche e sorgenti di acqua dolce si verifica a Te Ipu Pu e Te Peu, dove le immagini aeree mostrano un grande edificio (hare paenga) e giardini recintati (manavai). 

Da dove proviene allora quell'acqua dolce? Indagando, gli studiosi hanno scoperto che rimaneva nelle falde acquifere sotterranee per lunghi periodi di tempo prima di filtrare nell’oceano, grazie a strutture artificiali costruite anticamente. Da chi? Forse erano lì prima. I ricercatori pensano, comunque, che le statue siano legate a tali punti nevralgici per la sopravvivenza del popolo che le ha erette e che fossero anche dei marcatori che indicavano dove si trovava tale elemento, non solo indispensabile per la vita, ma legato ad antichi culti rituali. Un nuovo mistero ancora tutto da risolvere…


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