a cura della redazione, 5 febbraio

La manipolazione post mortem di corpi umani è documentata in molte regioni del mondo, compreso il Sud America. Recenti ricerche archeologiche sul campo nella valle del Chincha, in Perù, aggiungono a questo catalogo quasi 200 esempi di infilatura di vertebre umane su pali di canne. Un team di ricercatori, guidato da Jacob Bongers, dell’Università dell’East Anglia, ne ha trovato 192 esemplari custoditi in tombe di pietra. Si tratta di resti modificati, che rappresentano un preciso processo sociale. Tale manipolazione, infatti, riflette la volontà di mantenere una relazione tra il mondo dei vivi e quello dei morti, secondo antiche credenze. La datazione al radiocarbonio, però, indica i perni risalgono al periodo coloniale, tra il 1450 e il 1650 d.C., quando gli europei saccheggiavano le tombe del popolo Chincha, la cui popolazione contava fino a 30.000 abitanti, tra il 1000 e il 1400 d.C.. 

È plausibile ipotizzare che i resti dei defunti siano stati recuperati dopo un saccheggio e ricomposti, ma non si può escludere che la pratica fosse antecedente e che sia stata semplicemente rispettata dopo l’invasione straniera. Coloro che sopravvissero alla colonizzazione potrebbero aver infilato le ossa sparpagliate dei loro cari sulle canne, nel tentativo di ricostruire le sepolture profanate. L’analisi dei singoli perni, ha mostrato che la maggior parte delle vertebre sovrapposte apparteneva a una sola persona, anche se alcune erano incomplete e le ossa sembra siano state infilate fuori ordine. Per gli studiosi, questo mostrerebbe che le ossa sono state comunque prelevate dopo che i corpi si erano decomposti; ma non sono stati in grado, al momento di stabilire se la decomposizione facesse parte di un rituale più antico. 

Le vertebre su perno sono state documentate all'interno di 88 chullpa. Tali tombe hanno attributi architettonici variabili. Alcune sono sotterranee, altre sono costruite con pietra di campo, adobe e tapia (fango versato) e presentano aperture, prove di coperture e piattaforme interne, possibilmente per l’esposizione di resti umani e offerte. All’interno delle sepolture sono stati rinvenuti anche tessuti molli. Le analisi bioarcheologiche dei chullpa sotterranei hanno rivelato persino resti mummificati e molte pupe di insetti, la cui presenza nelle tombe suggerisce che i corpi dei defunti sano stati esposti a un processo di scarnificazione prima della sepoltura. Un esempio di comportamento ritualizzato che testimonia antichi culti ancestrali. 

È altrettanto possibile ipotizzare che i popoli indigeni abbiano recuperato resti umani, come capelli e unghie, per ricostituire nuove immagini di culto, che potrebbero aver funzionato come sostituti di effigi. Certo è che, averne trovate 192 e il fatto che siano così diffuse su quel lembo di terra - le troviamo in tutta la Valle dei Chincha - indica che più persone hanno agito in modo condiviso, con una pratica che sembra sia stata considerata da un intero gruppo sociale il modo più appropriato di interagire con l'Adilà. 

FOTO ©Adriano Forgione

     
  «Questo rituale ricorda la ricomposizione del corpo di Osiride tra gli Egizi. L'impiego delle vertebre impilate in questo rituale trova, difatti, corrispondenza allegorica nel mondo antico associato al simbolismo dello Djed, la colonna dorsale del dio Osiride, simbolo di Giustizia, Stabilità e Vita Eterna. In quanto amuleto legato alla vittoria sulla morte è relazionato alla manifestazione di colui che è ponte tra Cielo e Terra. La resurrezione di Osiride, infatti, nella forma del giovane dio solare Horus, suo figlio, è un simbolismo “kundalinico”, l’energia di resurrezione che nell’Induismo è correlata alla manifestazione del Corpo Glorioso attaverso l’attivazione dei 7 Chakra lungo la colonna vertebrale», spiega Adriano Forgione, direttore della rivista Fenix, esperto di Misteri della Storia e del Sacro.


Qual è il rapporto tra decomposizione e manipolazione del corpo post mortem? Secondo lo studio le parti del corpo del defunto continuavano a vivere ben oltre la morte biologica. Recenti ricerche sul aDNA (DNA antico) dei resti di una delle tombe suggerisce che provenissero da individui non locali. I dati sull’intero genoma sono stati raccolti da campioni di denti associati a due crani, trovati disarticolati.

Ovviamente non è stato possibile stabilire la relazione tra questi individui campionati per l’analisi genetica e le otto vertebre sui perni trovati nel chullpa. Tuttavia, gli studiosi hanno ipotizzato che si tratti di individui geneticamente più simili ai popoli antichi della costa nord peruviana. Si può supporre che il loro arrivo possa aver creato comunità cosmopolite, determinando nuove relazioni socio-politiche, che hanno reso necessaria una nuova forma di pratica funeraria: l’inserimento di pali di canne attraverso vertebre non locali. 

Da questo punto di vista, le vertebre sui pali potrebbero aver incarnato, all’interno dei chullpa, differenze sociali tra locali e no. In alternativa, anche le popolazioni non locali avrebbero potuto portare con sé le vertebre sui pali a Chincha. Tuttavia, saranno necessarie ulteriori analisi genetiche e isotopiche stabili per comprendere le origini e le identità degli individui selezionati per questa pratica. Da non sottovalutare, però, il fatto che il mantenimento dell’integrità dei cadaveri era fondamentale anche per le società al di fuori delle Ande. 

La “ricostruzione” di corpi depredati e disaggregati non era limitata al Sud America. Una pratica simile è stata riscontrata in Egitto. Un esempio lo troviamo nel sito di Kellis, a Ismant el-Kharab nell’oasi egiziana di Dakhle, occupato dal periodo tolemaico (332–30 a.C.) fino al 400 d.C., dove le mummie sono state depositate in camere tombali dotate di aperture, come nel caso dei chullpa di Chincha. Uno studio del 2004 documenta anche qui l’uso di bastoncini di legno, resina e lino per ricostruire i corpi, presumibilmente perturbati a seguito di un saccheggio. Le parti smembrate erano state steccate utilizzando costole a foglia di palma, che sono state anche frequentemente inserite nelle colonne spinali. Pur dovendo essere cauti nel tracciare questo confronto interculturale, le somiglianze tra i casi andini e quelli dell'Antico Egitto sono sorprendenti, poiché rivelano similitudini in un lasso di tempo che non corrisponderebbe con l'era coloniale in Perù e a una distanza di migliaia di chilometri  tra due culture separate da un oceano.


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