a cura della redazione, 15 Febbraio
Durante i lavori di studio e conservazione di un sarcofago, sino ad ora ignorato, attribuito a quello che fu 3000 anni fa il custode deputato ad aprire e chiudere i cancelli del Tempio di Amon-Ra nell’antica Tebe, sono stati individuati l’immagine e i geroglifici che rimandano al culto di un’importante divinità eliopolitana...
ACQUISTA ORAIl mese scorso gli esperti hanno scoperto, parzialmente oscurata da uno spesso strato di catrame, sul fondo di un sarcofago egizio, l'immagine dipinta di Ra-Horakhti ("Ra, che è Horus dei due Orizzonti"), divinità eliopolitana nata dal sincretismo tra il dio del Sole, Ra, e Horakhti, forma di Horus rappresentato da un falco con il disco solare sul capo. Quale Horakhti (Harakhty) Horus rappresentava il dio che univa i due mondi: «L’Orizzonte era inteso come portale per l’Aldilà: ad Ovest era l'ingresso nella Dwat e ad Est il passaggio verso il Cielo e la Resurrezione. Un culto antichissimo praticato sin dall’epoca Tinita, nel quale Horus è massima espressione della Trasmutazione in Luce. Lo ritroviamo in molti inni sacri e preghiere ed è collegato anche alla Sfinge, detta Hor Em Akht, "Horus all’Orizzonte”», ricorda Marco Rocchi nel suo libro “Sfinge. L’Alba delle Origini”.
La scoperta è stata effettuata durante i lavori di studio e conservazione di tre sarcofagi custoditi dal Museo Semitico di Harvard, guidati dal direttore ed egittologo Peter Der Manuelian. L’obiettivo del progetto di ricerca, della durata di una settimana, era quello di creare una registrazione visiva digitale completa di tre reperti, dimenticati per decenni nei magazzini del museo e non adeguatamente investigati fino a oggi: quello che custodiva Ankh-khonsu, “Guardiano del Sacro Cancello” del Tempio di Amon-Ra nell’antica Tebe, e quelli di due donne, Mut-iy -iy, divina cantrice del Tempio, e Pa-di-mut, artigiana e sacerdotessa. I tre sarcofagi egizi «risalgono alla XXII dinastia egizia, nota anche come dinastia bubastita (945-712 a.C.). Arrivarono al museo da Tebe, tra il 1901 e il 1902», riporta la Gazzetta di Harvard.
«L’immagine - spiega Der Manuelian - è chiaramente visibile nonostante la superficie irregolare e il rivestimento resinoso molto scuro simile al catrame ,utilizzato probabilmente nel processo funebre. È dipinta in giallo, arancione e blu, con geroglifici che circondano il dipinto, dai quali si legge: "Ra-Horakhty, il grande Dio, il Signore dei Cieli" ». Il corpo di Ankh-khonsu era stato rimosso più di 100 anni fa, quando la bara fu portata dall'Egitto a Cambridge, negli USA, e fu riaperta solo circa 70 anni dopo. Per ragioni sconosciute, però, sembra non esistesse una documentazione moderna degli interni del suo sarcofago, al contrario di quelli delle due figure femminili.
Come parte del progetto, Manuelian ha riunito un team di studiosi del University College di Londra e dell’Harvard Art Museum: diversi conservatori, un fotografo professionista ed esperti di campionamento dei pigmenti residui per l’analisi del legno, in modo da poter raccogliere quante più informazioni possibili sui materiali e sugli ornamenti dei tre sarcofagi. I ricercatori hanno raccolto campioni di tessuto, vernice e resina e hanno studiato i testi e l'iconografia presenti sul legno e sul cartongesso.
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Durante i lavori di restauro, una dozzina di persone si sono radunate per documentare e analizzare ogni centimetro dei manufatti. I sarcofagi, oggi esposti al secondo piano del Museo Semitico, di Mut-iy-iy e di Ankh-khonsu sono fatti di legno, probabilmente sicomoro, mentre quello di Pa-di-mut è in cartonnage in lino e gesso, e un tempo era alloggiata in una scatola di legno. Oltre agli sforzi per la conservazione, l'assistente curatore delle collezioni Adam Aja, insieme a Eden Piacitelli e Lauren Wyman, candidati al master in studi museali presso la Harvard Extension School, hanno utilizzato uno scanner wireless 3D per catturare ogni dettaglio dei sarcofagi, quindi hanno utilizzato il software per creare modelli digitali ruotabili.
Manuelian ha, invece, prodotto la fotogrammetria delle casse. Il gruppo ha lavorato con il ricercatore Mohammed Abdelaziz dell'Università dell'Indiana-Bloomington su una "prima bozza" animata e ruotabile di tutte e tre le bare. I conservatori Dennis e Jane Piechota, che lavorano regolarmente con il Museo Semitico e il Museo Archeologico ed Etnologico di Peabody, hanno assicurato che le bare fossero rimosse in sicurezza dalle loro vetrine, trasportate nella sala di ricerca e disposte correttamente per la fotografia e la scansione. Il progetto un ulteriore passo avanti per rendere gli antichi tesori dell’Egitto più accessibili al pubblico, anche attraverso la modellizzazione digitale. Manuelian dirige, infatti, anche il Progetto Giza, un'iniziativa che si avvale di una forte componente virtuale per rappresentare tutta l'archeologia legata alle Piramidi di Giza. Sviluppi tecnologici che seondo Joseph Greene, vicedirettore e curatore del museo, fino a cinque anni fa sarebbero stati impensabili.
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